Perché in Italia siamo tornati a parlare del doping nel calcio degli anni 90?
Siamo abituati ad associarlo ad alcuni sport più che ad altri, eppure anche su uno sport come il calcio aleggia l'ombra nera del doping. E il calcio italiano, soprattutto quello della generazione degli anni '90, ne ha già sentito parlare in passato. Più spesso di quanto ricordiamo.
All'Espresso disse che il calcio italiano doveva "uscire dalle farmacie", Zdenek Zeman. Era il 1998 e quelle sue parole, pronunciate quando era tecnico della Roma, fecero grande scalpore e gli causarono molte inimicizie. Quello del doping era un tema che nel calcio italiano (e nello sport in generale) era sempre stato considerato estremamente delicato. Fin troppo.
Nella foto: Zeman nel 1998
Le pesanti accuse dell'allenatore boemo, nell'intervista sull'Espresso, colpivano alcuni mostri sacri del pallone e scuotevano le fondamenta di uno dei club più importanti d'Italia, la Juventus.
Nella foto: Zeman ai tempi della panchina giallorossa
"Le esplosioni muscolari di alcuni calciatori? È uno sbalordimento che comincia con Gianluca Vialli e arriva fino ad Alessandro Del Piero. Io che ho praticato diversi sport pensavo che certi risultati si potessero ottenere soltanto con il culturismo, dopo anni e anni di lavoro specifico", disse Zeman all'Espresso. I diretti interessati insorsero, Vialli in primis.
Come ricorda Zeman stesso nella sua biografia "La bellezza non ha prezzo", Vialli lo chiamò "terrorista", accusandolo di "destabilizzare l'ambiente" e invitando i dirigenti della FIGC a squalificarlo "se non volevano fare i buffoni".
Le accuse di Zeman diventarono il punto di partenza di un'inchiesta, condotta dal pm Guarinello (nella foto), che avrebbe poi portato al processo contro il club bianconero e il medico sportivo Riccardo Agricola per la presunta somministrazione di sostanze illecite tra il '94 e il '98 ai giocatori juventini. Vialli e Del Piero vennero chiamati in aula come testimoni.
Il processo si concluse in primo grado con l'assoluzione dell'allora Amministratore Delegato della Juventus, Antonio Giraudo (nella foto), e la condanna a 1 anno e 10 mesi per il responsabile medico del club bianconero, Riccardo Agricola, poi assolto nel processo di appello del 2005.
Quando il procedimento arrivò in Cassazione, i giudici che riesaminarono il caso tornarono al verdetto originario e annullano l'assoluzione di Agricola, ritenuto (di nuovo) colpevole di aver infranto la legge sulla frode sportiva per aver somministrato un'eccessiva quantità di farmaci ai giocatori. Come spesso capita nella giustizia italiana, nel frattempo, però, il reato era caduto in prescrizione.
Nella foto: a sinistra in primo piano, Riccardo Agricola; a destra, Roberto Bettega
Sentenze a parte, Gianluca Vialli non perdonò mai Zeman per quelle sue dichiarazioni, come confermò in un'intervista a Sky: "Io non l’ho mai perdonato: ha gettato un’ombra sulla carriera mia e di Del Piero, e non mi ha ancora chiesto scusa".
Ma l'intenzione di Zeman, più che gettar fango su alcuni giocatori, sembrava essere un'altra: sottolineare un problema esistente, una pratica comune nel calcio di quegli anni, e far scattare un allarme. "Chi può escludere che le conseguenze per gli atleti non si manifestino a distanza di anni?" si era chiesto sull'Espresso. E molti ex giocatori e dirigenti, oggi, sembrano condividere quella sua stessa paura.
È proprio di paura che ha parlato Dino Baggio, ex centrocampista della Juve, ai microfoni della trasmissione "Tuttincampo Spogliatoi" su Tv7 Triveneto, proprio all'indomani della morte del suo ex compagno di squadra, Gianluca Vialli lo scorso 6 gennaio. Ma paura di cosa?
Foto scattata durante Ancona - Juventus del 28 marzo 1993: Dino Baggio, al centro; a sinistra, Vialli; a destra, Conte
A preoccupare Dino Baggio sono proprio quelle pratiche denunciate da Zeman nel 1998. Pur negando di aver fatto uso di doping, ai microfoni di Tv7 Veneto conferma che alla fine degli anni '90 i giocatori venivano sottoposti a trattamenti con integratori, "nulla di illecito", dice.
Nulla di illecito, certo, ma, come riporta il Corriere della Sera, Dino Baggio teme per la sua salute e per quella dei suoi ex colleghi: "Bisognerebbe investigare sulle sostanze che abbiamo preso in quel periodo. Il doping c’è sempre stato. Bisogna capire se certi integratori col tempo hanno fatto male. Ho paura anch’io, sta succedendo a troppi calciatori". E vuole risposte.
"Chiedo risposte scientifiche: vorrei sapere nel lungo termine gli effetti di questi prodotti chimici sul mio corpo." e aggiunge "è chiaro che quello che si prendeva negli anni '90 ora non si prende più".
Nella foto: Roberto Baggio (al centro), Fabio Cannavaro (a sinistra) e Dino Baggio (a destra)
Dino Baggio sembrerebbe cercare un perché alla malattia che si è portata via la vita di Gianluca Vialli il 6 gennaio, ma a preoccuparlo c'è anche il timore che le numerose morti premature dei calciatori della sua epoca non siano in realtà solo una coincidenza.
Meno di un mese prima, il 13 dicembre 2022, aveva perso la vita anche un altro grande giocatore di quegli anni, Siniša Mihajlović, l'amatissima bandiera della Lazio degli anni di Sven-Göran Eriksson.
Gianluca Vialli aveva 58 anni, Siniša Mihajlović 53: sono stati due grandi campioni accomunati da una dura (e lunga) lotta contro la malattia. Alla loro morte, in molti si sono chiesti se non fossero troppo giovani per essere stati stroncati da un tumore al pancreas, il primo, e dalla leucemia, il secondo.
Nella foto: Il minuto di silenzio in onore di Gianluca Vialli e Siniša Mihajlović prima dell'incontro tra Lazio e Empoli
Alla morte di Mihajlović, anche Claudio Lotito, presidente della Lazio, aveva manifestato la sua preoccupazione per quanto ricorrenti fossero le morti degli ex giocatori di quel periodo e, come leggiamo sul Corriere della Sera, aveva sottolineato l'urgenza e la necessità di "approfondire alcune malattie che potrebbero essere legate al tipo di stress e di cure che venivano fatte all’epoca per i calciatori".
Nessuno sembra fare riferimento diretto al doping, nessuno ne ammette l'uso in quegli anni, ma le domande sulle sostanze "non illecite" assunte dai giocatori negli anni '90 sono molte, prima tra tutte: è possibile collegarle alle morti dei giocatori?
Nella foto: Filippo Inzaghi ascoltato come testimone nel 2004 nell'ambito del processo per doping contro il club juventino
E non ci si riferisce solo al cancro, ma anche alla Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), una malattia neurogenerativa che anni addietro ha colpito altri grandi nomi del calcio italiano, come Signorini (nella foto), Borgonovo o Bertini.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista "Amyotrophic Lateral Sclerosis & Fronto Temporal Disease", l'incidenza di questa malattia neurodegenerativa sui calciatori italiani sarebbe molto più alta rispetto a quanto accade con altri gruppi professionali: quasi il doppio.
Nella foto: Roberto Baggio e Stefano Borgonovo
Nel campione analizzato, formato da 23.586 calciatori militanti nelle 3 principali serie del nostro campionato (A, B e C) dal 1959 al 2018, il team di ricercatori dell'Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri, responsabile dello studio, ha rilevato 34 casi di giocatori affetti da Sla, 15 dei quali centrocampisti.
Nella foto: Stefano Borgonovo e Franco Baresi
Il campione analizzato evidenzia anche un altro dato importante: l'incidenza della Sla non solo è maggiore tra i calciatori rispetto ai lavoratori di altri settori, ma i calciatori si ammalerebbero anche prima degli altri.
Nella foto: in primo piano Stefano Borgonovo ; in alto, da sinistra: gli ex allenatori del Milan Arrigo Sacchi e Carlo Ancellotti, insieme a Roberto Baggio
Tra le cause, secondo gli autori dello studio, potrebbero esserci, tra gli altri, anche questi fattori: i pesticidi e i diserbanti utilizzati nei campi di calcio, l'uso eccessivo di farmaci non illegali e, appunto, il doping.
I dubbi e le paure sul legame tra le sostanze utilizzate dai medici sociali delle squadre degli anni '90 e le malattie che colpiscono o hanno colpito numerosi giocatori di quella generazione per alcuni possono essere giustificabili.
Come dice Walter Sabatini (nella foto) sul Corriere della Sera: "Passavano i medici ti facevano punture e non sapevo quello che ti iniettavano" e aggiunge "Io mi facevo puntualmente due punture prima della partita senza mai fare una domanda, mi fidavo dei medici. "
Seppur criticando l'assenza, negli ultimi anni, di un dibattito e di azioni forti in materia di doping nel calcio, dalle pagine de Il fatto quotidiano Raffaele Guariniello, l'ex pm dell'inchiesta sul doping nella Juventus, invita comunque alla cautela. Ma ammonisce: "Siamo tornati a trent’anni fa".
È davvero così?
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